Co.Co.Pro.

Co.Co.Pro.: il contratto di collaborazione a progetto

I Co.Co.Pro.: i contratti a progetto

Il Co.co.pro – la Collaborazione a Progetto – è un tipo di contratto di lavoro atipico nato come "evoluzione" del Co.co.co. (la Collaborazione Coordinata e Continuativa). È stato introdotto, infatti, dalla Riforma Biagi del 2003 per tentare di arginare un particolare fenomeno che si stava verificando in Italia: molte aziende assumevano tramite contratto co.co.co, ma, di fatto, il collaboratore si ritrovava poi ad eseguire l'attività come se si trattasse di un lavoro subordinato. Con la Riforma Biagi è stato allora stabilito il principio del "lavoro a progetto", in base al quale questi contratti possono essere stipulati solo se l'attività da svolgere riguarda uno o più progetti specifici, previsti dal committente (il datore di lavoro) e gestiti dal collaboratore (il lavoratore) in modo autonomo. La disciplina del Contratto di Collaborazione a Progetto è stata poi modificata da successive riforme e leggi, come la Riforma Fornero del 2012 e la Legge n°99 del 2013.

Il Jobs Act – l'ultima riforma del lavoro avviata in Italia con la Legge n.183 del 10 Dicembre 2014 – ha previsto un'importantissima novità per i contratti co.co.pro.: a partire dal 2016, infatti, non sarà più possibile dar vita a nuove collaborazioni a progetto.

Il contratto a progetto doveva presentare precise caratteristiche per essere considerato valido. La più importante era proprio la presenza di un progetto specifico. L'attività per la quale il collaboratore veniva assunto, infatti, doveva avere un contenuto proprio e raggiungere un preciso risultato.
Non poteva trattarsi neanche di un'attività elementare e/o ripetitiva: se ad esempio si voleva assumere qualcuno come cameriere in una pizzeria, non era possibile farlo con un contratto co.co.pro, in quanto mancherebbe un preciso progetto da realizzare ed il lavoro della persona assunta consisterebbe in un'attività ripetitiva.
Se non era presente un progetto oppure se veniva creato un finto contratto co.co.pro, si rischiavano varie sanzioni: in questi casi, infatti, il rapporto instaurato poteva essere anche considerato rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla sua origine, cioè dal giorno in cui era stato stipulato il contratto.

Il contratto doveva, poi, essere scritto, per avere una prova certa del tipo di rapporto instaurato in caso di problemi.
In esso, oltre al progetto, dovevano essere indicati:

Co.co.pro contributi. I contributi per il Contratto di Collaborazione a Progetto dovevano esser versati ad un fondo pensionistico chiamato "Gestione Separata", gestito dall'Inps. Il committente doveva versare 2/3 dei contributi, il collaboratore, invece, 1/3.

Co.co.pro disoccupazione. Alla fine del rapporto di lavoro, anche ai lavoratori co.co.pro spettava una forma di indennità di disoccupazione speciale, chiamata "una tantum". Per aver diritto a questa indennità, però, era necessario essere in possesso di alcuni requisiti:

Co.co.pro. malattia. Grazie alla Legge Finanziaria del 2007, avevano diritto ad una indennità in caso di malattia anche i lavoratori co.co.pro iscritti presso la Gestione Separata dell'Inps. Questa indennità, però, veniva applicata solo se la malattia durava almeno 4 giorni.

Co.co.pro Jobs Act.
Come anticipato, il Jobs Act - attraverso un Decreto Attuativo del 2015 che si concentra sul riordino dei contratti lavorativi italiani - ha previsto la scomparsa nell'immediato futuro di questa forma di collaborazione.
Dal momento della sua entrata in vigore definitiva, infatti, verranno abrogati alcuni articoli della famosa Legge Biagi, ovvero quelli che vanno dal n.61 al numero 69 bis e che forniscono indicazioni proprio sull'obbligo di indicare un progetto specifico nel caso in cui si voglia dar vita ad un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa.
I contratti co.co.pro. stipulati prima dell'abrogazione, tuttavia, continueranno ad essere considerati validi fino alla loro scadenza.


Vedi anche:

Co.Co.Pro.: Elenco Avvocati e Studi Legali
Congedo di paternità
Un uomo può astenersi da lavoro in caso di nascita del figlio grazie al congedo di paternità. Dura quanto quello di maternità (5 mesi) oppure solo una parte (quella non goduta dalla lavoratrice). Viene richiesto in particolari situazioni (per es. infermità o morte della madre del neonato, affidamento totale al padre, ecc.).
Contratto Part-Time
Si ha quando il lavoratore segue un orario inferiore rispetto a quello previsto per il suo settore. Il Part-Time può essere: orizzontale (lavora tot ore al giorno tutti i giorni), verticale (lavora solo alcuni giorni a settimana o settimane del mese, ecc.) oppure misto (una fusione delle due forme precedenti)
Congedo per malattia del figlio
Possono usufruirne entrambi i genitori lavoratori, ma non contemporaneamente. La sua durata dipende dall’età del bambino che si è ammalato: se ha meno di 3 anni, ogni genitore può astenersi da lavoro fino a quando non sarà guarito; se ha tra 4 e 8 anni, massimo 5 giorni all’anno.
Congedo di maternità
Permette ad una donna di astenersi da lavoro in caso di gravidanza. È un congedo obbligatorio: per legge, infatti, la donna non può lavorare in prossimità del parto. Dura in totale 5 mesi: 2 precedenti il parto, 3 successivi. La donna può anche scegliere di astenersi da lavoro 1 mese prima della nascita e 4 dopo.
Contratto a tempo determinato
Si ha quando un lavoratore viene assunto solo fino ad una data prestabilita.
La scadenza iniziale può essere posticipata (può essere, quindi, “prorogato”) oppure, al termine del contratto, può esserne stipulato un altro (viene dunque “rinnovato”).
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