Un contratto collettivo contiene gli accordi generali presi tra un datore di lavoro (o un'associazione o confederazione di datori) ed i sindacati dei lavoratori su argomenti come la retribuzione e le condizioni di lavoro: dà, quindi, indicazioni per esempio su quale deve essere lo stipendio minimo di un dipendente, l'orario di lavoro da seguire, ecc.
Queste indicazioni devono, poi, essere rispettate nel momento in cui si stipula un contratto individuale, cioè quando nasce un nuovo rapporto di lavoro. Esistono contratti collettivi per ogni settore lavorativo.
Il contratto collettivo di diritto comune - unico tipo di contratto collettivo che può essere realizzato in Italia - è così chiamato in quanto segue le regole del contratto in generale. È stipulato tra sindacati dei lavoratori e sindacati dei datori di lavoro e normalmente vincola solo chi è iscritto a queste organizzazioni. In realtà col tempo si è cercato di far sì che possa essere applicato anche se non c'è un'iscrizione ai sindacati.
Il contratto individuale non può derogare o "peggiorare" ciò che è stato stabilito su quello collettivo, ma solo migliorarlo: se contiene clausole o condizioni peggiori (ad esempio uno stipendio inferiore a quello base previsto), viene automaticamente considerato nullo.
La contrattazione collettiva in vigore in Italia è frutto di numerosi accordi interconfederali - cioè tra sindacati confederali come CGIL, CISL, UIL - che sono nati a partire dal 1999 fino al 2014. Attualmente questa contrattazione si sviluppa su più livelli. In modo particolare, gli accordi collettivi vengono presi a livello "nazionale" oppure "decentrato": si parla, infatti, di Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro e di Contratti Collettivi Aziendali (o anche, in alternativa a questi, Contratti Collettivi Territoriali).
Il CCNL Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro di categoria è il più importante. È un contratto collettivo stipulato tra sindacati dei lavoratori ed organismi che rappresentano datori di lavoro, attraverso il quale vengono regolamentati i rapporti lavorativi a livello nazionale per ogni tipo di settore. Si parla, infatti, di "ccnl commercio", "ccnl metalmeccanici", "ccnl terziario", "ccnl sanità" e così via in base ai vari settori lavorativi: per esempio, per i lavoratori del settore del commercio di tutta Italia si fa riferimento al Contratto Collettivo Nazionale del Commercio.
Il contratto collettivo aziendale è stipulato tra datore di lavoro e rappresentanze sindacali aziendali (RSA) o unitarie (RSU), quindi regolamenta i rapporti di lavoro all'interno di una specifica realtà.
Come principio base, questo tipo di contratto deve comunque rispettare ciò che è stato stabilito da un contratto collettivo nazionale di categoria, quindi si tiene sempre conto di quello che è stato deciso a livello nazionale.
Tuttavia l'accordo interconfederale del 2014 ha previsto in modo chiaro la possibilità di dar vita (sempre a livello aziendale) ad accordi che modificano - o addirittura derogano - quelli nazionali in alcuni casi, ad esempio quando bisogna gestire una situazione di crisi. Le nuove condizioni previste da un contratto collettivo aziendale devono, comunque, essere "migliorative", cioè più vantaggiose per i lavoratori rispetto a quelle nazionali.
I contratti collettivi di lavoro hanno la durata di 3 anni, dopodiché devono essere rinnovati. Per evitare che ci siano ritardi in questo rinnovo, le trattative devono iniziare almeno 6 mesi prima della scadenza di un contratto collettivo nazionale e 2 mesi prima della scadenza di quello collettivo aziendale.
I rinnovi sono importanti anche perché spesso è proprio grazie ad essi che è possibile avere aumenti salariali: se il costo della vita aumenta, infatti, si cerca di fare in modo che le retribuzioni si adattino all'inflazione, quindi che siano più alti anche gli stipendi-base dei lavoratori.